A parte il mio compagno di classe Franzetti, di famiglia veterocomunista da più generazioni (pare che un suo prozio fosse sull’Aurora nell’ottobre del ’17 dalle parti di San Pietroburgo) che non andava alla dottrina, e quando il prete veniva a scuola per benedire, lui usciva di classe in modo composto e con una dignità che nessuno a quell’età era in grado di esprimere (in molti neanche dopo) tutti gli altri che ho conosciuto (compreso me) hanno avuto in casa o a che fare con la “scatolina” dell’avvento. Tutti a parte Franzetti, ateo praticante dagli occhi chiari.
Simbolo, gioia e ossessione di milioni di bambini alle prese con la fede praticata, le rinunce, l’elemosina, la benevolenza. La scatola per le offerte dell’avvento ha soggiornato in tutte le nostre infanzie in primo luogo per l’onere di quel “primissimo” vuoto da riempire, una carità a cui contribuire.
La notizia in tutto questo è che ci siamo cimentati con quell’immaginario e con quei significati cercando di dargli una forma nuova.